Mattarella: “Il Mediterraneo torni luogo di civiltà”

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di Salvo Barbagallo

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Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nei giorni scorsi ha lanciato un accorato appello, sperando che venga raccolto da uomini di buona volontà. Così si è espresso il Capo dello Stato: Occorre far prevalere e riaffermare in pieno il carattere di legame e di civiltà come il Mediterraneo è stato prevalentemente nei secoli (…) Il Mediterraneo da luogo di scambi cultura e commercio, di esperienze e di costumi, in questo periodo” è diventato “un luogo di sofferenze, di traffici disumani, spesso di morte (…) la comunanza di paesaggi e culture” del Mediterraneo “costituiscono l’humus, la base per i diritti umani, per la pace e per il dialogo (…).

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Parole che sono “forma” di un contenuto profondo, condivisibile e da applicare nella realtà odierna e futura. Purtroppo, con i tempi che corrono o, per meglio dire, con i “veleni” che hanno inquinato l’ex Mare Nostrum, forse in maniera irreversibile, le parole non sono sufficienti, anche se siamo convinti che gli autorevoli “appelli” siano necessari.

E consapevoli di essere ripetitivi, vogliamo riprendere alcuni spezzoni di un nostro Editoriale pubblicato su La Voce dell’Isola  il 19 gennaio scorso.

Dicevamo…

(…) In più occasioni abbiamo scritto su questo giornale che è nel Mediterraneo che si gioca il futuro globale. Questo “futuro” si sta giocando ora, protagoniste le grandi Potenze che non riescono a trovare (o non vogliono?) un equilibrio necessario nella sfida per una leadership mondiale. Anche i Paesi che di certo non sono “grandi” Potenze vanno alla ricerca di un “ruolo” per stare al tavolo delle decisioni. Molte cose sono cambiate nell’arco degli ultimi dieci anni nell’area del bacino del Mediterraneo, e adesso resta solo una costante: la conflittualità fra le Genti. Apparentemente non ci sono più Regole certe per assicurare Pace e convivenza civile. Sul piano internazionale le Regole che codificano i rapporti fra Paesi, si chiamano Trattati, che i Governi stipulano per fare rispettare interessi reciproci. Nell’area del Mediterraneo da tempo le Regole sono saltate, le autonomie di diverse collettività nazionali sono state sovvertite spesso con la violenza, il più forte domina sul più debole nella logica del profitto da raggiungere con qualsiasi mezzo, senza guardare al danno che si provoca direttamente o indirettamente. Questo stato di cose, ora come ora, non riguarda, purtroppo, solo i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, ma è esteso nei vicini territori. Oggi non c’è Paese che non debba fare i conti con la propria economia interna, le “rivoluzioni” improvvise non hanno creato nuovi equilibri ma ulteriori, pesanti destabilizzazioni. Alle “primavere” annunciate sono seguiti inverni carichi di dissesti sociali, il verbo coniugato al futuro raramente ha tenuto conto delle difficoltà, individuali e collettive, del presente. Adesso il quadro che si presenta è a forte tinta oscura e sembra che per la luce non ci sia posto. Il futuro è una meta non visibile, la durata del presente è ignota. Il presente si vive male, i problemi non vengono fronteggiati se non ponendo scadenze per un “dopo” che sicuramente molti non raggiungeranno mai.

Tutto ciò dimenticando (volutamente?) che in un recente passato un importante Trattato, quello di Barcellona, aveva creato le giuste e opportune premesse per un futuro migliore e diverso da quello che ci ritroviamo a vivere come “presente”. Un “processo di pace” al quale venne dato il none di Partenariato Euro Mediterraneo, avviato dall’Unione europea, che all’epoca contava 15 stati membri, e da altri 12 stati della regione durante la conferenza di Barcellona che si riunì il 27 novembre e il 28 novembre 1995. Alla conferenza parteciparono come osservatori gli Stati Uniti. Successivamente, dopo l’allargamento dell’Unione europea avvenuto nel 2004, Malta e Cipro che partecipavano al processo come Paesi terzi, divennero parte del processo come membri dell’Unione Europea. La Libia non era presente alla conferenza poiché Gheddafi ritenne che quest’ultima non fosse altro che un tentativo dell’Unione europea di rincorrere una posizione egemonica esterna ai propri confini. Tuttavia, nel 2000 la Libia riconobbe e sottoscrisse gli obiettivi del processo di Barcellona.

L’obbiettivo primario del Partenariato Euro-Mediterraneo era quello di trasformare il Mediterraneo in uno spazio comune di pace, di stabilità e di prosperità attraverso il rafforzamento del dialogo politico e sulla sicurezza, un Partenariato economico e finanziario e un Partenariato sociale, culturale ed umano. E proprio in materia di sicurezza (articoli 6/10) così si esprimeva il Protocollo d’intesa sottoscritto:

  1. I partecipanti alla conferenza di Barcellona hanno deciso di istituire un dialogo politico globale e regolare, a complemento del dialogo bilaterale previsto dagli accordi di associazione. Inoltre, la dichiarazione definisce alcuni obiettivi comuni in materia di stabilità interna ed esterna. Le parti si impegnano ad agire in conformità della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, come pure di altri obblighi a norma del diritto internazionale, segnatamente quelli risultanti dagli strumenti regionali ed internazionali. Sono più volte ribaditi i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (comprese la libertà di espressione, la libertà di associazione, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione). La dichiarazione precisa che occorre accogliere favorevolmente, mediante il dialogo tra le parti, gli scambi di informazioni su questioni attinenti ai diritti dell’uomo, alle libertà fondamentali, al razzismo ed alla xenofobia.
  2. Le parti si impegnano ad introdurre lo Stato di diritto e la democrazia nei loro sistemi politici, riconoscendo in questo quadro il diritto di ciascun partecipante di scegliere e sviluppare liberamente il suo sistema politico, socioculturale, economico e giudiziario.
  3. I firmatari si sono inoltre impegnati a rispettare la loro uguaglianza sovrana, l’uguaglianza di diritti dei popoli e il loro diritto all’autodeterminazione. I partecipanti hanno inoltre convenuto che le relazioni tra i loro Paesi poggiano sul rispetto dell’integrità territoriale, sul principio di non intervento negli affari interni e sulla composizione pacifica delle controversie.
  4. Le parti hanno inoltre convenuto di combattere il terrorismo, la criminalità organizzata e il flagello della droga in tutti i suoi aspetti.
  5. Le parti si sono inoltre impegnate a promuovere la sicurezza regionale, adoperandosi, tra l’altro, a favore della non proliferazione chimica, biologica e nucleare mediante l’adesione e l’ottemperanza ai regimi di non proliferazione sia internazionali che regionali, nonché agli accordi sul disarmo e sul controllo degli armamenti. Le parti perseguono l’obiettivo di creare un’area mediorientale priva di armi di distruzione di massa.

Ecco, se si deve per “ragion di Stato” dimenticare (o cancellare!) il passato e gli impegni assunti e sottoscritti, quale credibilità può avere oggi una (dovuta) iniziativa tendente a (ri)stabilizzare un Paese soltanto (la Libia) là dove un’intera area geografica è scossa da lotte fratricide, spesso alimentate dall’esterno? Quali “nuove” forze (non militari) possono agire con consapevolezza e credibilità?

Dette queste cose, ridette tante volte in precedenza nel corso degli anni, dimenticando (volutamente) che l’Italia fu (co)protagonista della eliminazione del dittatore Gheddafi, vorremmo chiedere al Presidente della Repubblica che rappresenta tutti gli Italiani, noi “Siciliani” compresi, perché venne cancellato il Trattato di Barcellona che contemplava ampiamente una normativa che avrebbe garantito il Mediterraneo quale “luogo di civiltà”?

Certo, non è mai troppo tardi per tornare sui propri passi, ma ciò significherebbe avere il coraggio di ammettere le proprie (e dirette) responsabilità. I “buonismi” non servono. A nessuno…

E… sempre per essere ripetitivi, riproponiamo un altro Editoriale de “La Voce dell’Isola” pubblicato il 14 luglio del 2015


Nell’ex “culla della civiltà”

di Salvo Barbagallo

LE SPERANZE PERDUTE

Venti anni addietro scrivevamo: “Oggi, cadute le barriere che vedevano contrapposte le due grandi potenze Stati Uniti e Unione Sovietica; oggi che la Comunità Europea è una realtà operativa, il Mediterraneo e i Paesi del suo bacino, tornano ad acquistare una posizione strategica, diventano anello di congiunzione tra il mondo occidentale e il mondo orientale, due realtà ancora lontane fra di loro, separate dalla diversità socio-economica che esplode con contrasti anche di natura bellica; due mondi che hanno bisogno di conquistare la pace per potersi incontrare e costruire un futuro per le generazioni del Duemila.

Ormai da anni e da più parti sono state avviate iniziative tendenti al raggiungimento dell’equilibrio necessario per la convivenza fra i popoli, ma il percorso mostra difficoltà notevoli, la meta irraggiungibile: incomprensioni, interessi economici contrastanti, mancanza di progetti che abbiano una comune finalità, provocano divergenze apparentemente insormontabili per portare a compimento quel processo di pace da tutti auspicato ma, di fatto, solo enunciazione teorica.

E’ necessario che cadano le barriere dell’incomprensione: se anche la Chiesa Cattolica oggi, con i messaggi del pontefice Giovanni Paolo II, entra nel vivo dei problemi della pace, non è da contrapporre alcun primato laico là dove le finalità sono comuni. A 50 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo voluta dall’Onu – come Giovanni Paolo II ha detto – “…la pace deve essere uno dei punti da tenere sempre all’attenzione. Una pace che deve tradursi in concreti gesti di riconciliazione…” Il raggiungimento della pace deve essere l’obiettivo comune che deve animare tutti gli Uomini di buona volontà che vogliono costruire un mondo più giusto e solidale. Facciamo nostre, perché sono la base dei nostri stessi principi ispiratori, le parole del cardinale Martini: “…Il segreto della pace vera sta nel rispetto dei Diritti Umani: il riconoscimento dell’innata dignità di tutti i membri della Famiglia Umana è il fondamento della Libertà, della Giustizia e della Pace nel mondo. Sono molti i Diritti inalienabili e nessuno può essere impunemente violato: scegliere la Vita comporta il rigetto di ogni forma di violenza, quella della povertà e della fame che colpisce tanti esseri umani; quella dei conflitti armati; quella della diffusione criminale delle droghe e del traffico delle armi; quella degli sconsiderati danneggiamenti all’ambiente naturale…”.

Quante cose sono mutate nel corso degli ultimi vent’anni? Fin troppe, lo scenario di quell’area che veniva definita “la culla della civiltà” è stato stravolto da tragici avvenimenti che hanno reso irriconoscibili Paesi dalle grandi tradizioni, Paesi come l’Egitto e la stessa Grecia che in questi giorni sta vivendo una delle sue pagine più drammatiche. Bernardo Valli ieri sul quotidiano “La Repubblica” scriveva: “Nell’area  del Mediterraneo traboccano i conflitti incrociati in corso nelle contrade musulmane. Avevamo l’impressione di vivere in una retrovia vulnerabile e adesso le sempre più frequenti esplosioni di terrorismo ci fanno sentire più vicini al campo di battaglia. Al dramma dei profughi si aggiungono le fiammate di guerre, guerriglie, terrorismi che lacerano il Medio Oriente, dove cambiano le frontiere, e lambiscono Paesi sull’altra sponda del Mediterraneo, dove feriscono la Tunisia e travolgono la Libia. Di quei conflitti non si tracciano facilmente i contorni e non si identificano amici e nemici, perché gli schieramenti cambiano secondo i luoghi di scontro…”.

E Maurizio Molinari, sul quotidiano “La Stampa” del giorno prima, in merito all’ultimo grave episodio (la bomba al Consolato italiano), scriveva: “L’autobomba contro il Consolato rivela dunque, in ultima istanza, il tentativo di allontanare l’Italia dal Maghreb: che si tratti dell’impegno per porre fine alla guerra civile in Libia o della cooperazione per far ripartire lo sviluppo dell’Egitto ciò che non piace ai terroristi è un’Italia capace di essere protagonista nel Mediterraneo. L’intenzione dei mandanti è di spingere i nostri diplomatici e imprenditori a fare le valige, abbandonare la regione e fuggire a gambe levate verso la sponda Nord del Mediterraneo, rintanandosi impauriti nello Stivale, al fine di non far nascere quel «ponte sul Mare Nostrum» di cui Renzi e Al Sisi hanno parlato in più occasioni immaginando un’agenda comune su crescita economia, controllo dell’immigrazione e lotta al terrorismo. Se Al Sisi, nel suo discorso di insediamento, parlò di un Egitto «mediterraneo» aprendosi all’Europa, i terroristi perseguono l’opposto…”.

E noi, sempre vent’anni addietro, scrivevamo: “Affinché le parole non restino sterili enunciazioni, occorre tenere costantemente aperta la porta del dialogo, senza alcuna preclusione. Bisogna che i potenti guardino con nuovi occhi coloro ai quali la fortuna non ha arriso, e si mostrino disponibili alla solidarietà: la loro posizione non muterà, ma sarà possibile aprire un varco nelle reciproche incomprensioni e contrapposizioni che generano solo intolleranza e odio. E’ necessario che sia riconosciuto a tutti gli uomini, di qualsiasi razza e condizione, dignità e spazi di pari opportunità, alla conquista di una convivenza civile, nel rispetto dei ruoli che l’intelletto umano concede. Devono cadere le barriere fra le genti, per consentire il libero scambio di cultura, di idee, di esperienze economiche che offrano nuove metodologie per raggiungere mete comuni. Occorre che si trovino mezzi e strumenti idonei per debellare la povertà in cui si dibattono i Paesi emarginati dallo sviluppo. Le Religioni possono essere non ciò che separa, ma stimolo efficace per il risveglio delle coscienze. Occorre determinare i presupposti per un nuovo modo di organizzare la società civile, individuare forme di equa distribuzione del reddito prodotto dal Paese a tutela dei più deboli e costruire una società più giusta. E’ il momento di promuovere un NUOVO UMANESIMO facendo riferimento alle esperienze culturali cristiane, laiche, riformiste, riformatrici, liberali, per concorrere alla realizzazione di un sistema democratico compiuto…”.

A quanto pare, purtroppo, le parole servono a ben poco di fronte all’arroganza di chi detiene il potere, le cui azioni sono mirate principalmente al profitto: un vantaggio continuo per pochi, un danno non-stop per molte collettività.

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